Il nostro sguardo sul mondo si è consumato?
Tra i cinque sensi, la vista oggi è sottoposta ad una sollecitazione costante, che può essere potente ed utile ma anche distruttiva nelle modalità e nei contenuti.
Lo stimolo spasmodico di visualizzare ottunde la nostra capacità di guardare e di vedere; separa queste due facoltà menomando il potere totale del nostro sguardo.
Questi due verbi, come noto, non sono esattamente sinonimi.
La differenza è sottile ma interessante da richiamare: se vedere è uno stadio più immediato e sensoriale, anche involontario, guardare ne è l’approfondimento, sul piano mentale, dell’intenzionalità e dell’attenzione.
Eppure non sempre il guardare come atto volontario – per esempio dirigendo il nostro sguardo in una certa direzione – assicura anche il vedere, quale ricezione esatta (e consapevole) di uno stimolo sensoriale. Nè ci dice nulla sull’ampiezza della visione.
Uno sguardo pieno, integro di tutto il suo potere, guarda e vede ma non solo: si sente in tutto il corpo. Un corpo che non è solo agglomerato di sensi, ma anche soglia di spiritualità e profonda conoscenza.
Lo sguardo così concepito oltrepassa la corporeità e l’intellettualismo.
Nutre il desiderio del cuore, inteso come aspirazione alla presenza autentica e alla trascendenza.
Ad esso ci chiama la natura e tutta l’arte, con canto di sirena che seduce ma, in questo caso, non uccide.
"Sirena" o "Abisso verde", Giulio Aristide Sartorio, 1893, olio su tela.
In Donne che corrono con i lupi, Clarissa Pinkola Estés ha scritto come la vista e la conoscenza dimorino sulla pianta del piede: di quella pelle, che sente tutto, è fatta l’essenza del femminile, che come forza archetipica giace in ogni essere umano.
I piedi sono emblema di movimento e cammino, fisico o interiore. Simbolo dell'andare (e del ritornare) a vedere.
Il cinema di Quentin Tarantino, si sa, è nutrito di un feticismo totale e multifocale.
Uno dei suoi feticci più noti sono proprio i piedi, specie quelli dell’attrice e sua musa Uma Thurman.
È lei in Pulp Fiction a chiedere a John Travolta: “Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?”.
Il suo è un elogio dei rari silenzi contemplativi, da dividere in santa pace con qualcuno di speciale. Poco dopo lo trascina a ballare: un gioco di conoscenza, dove danzando sfrega a terra i piedi rigorosamente nudi.
Sempre dai piedi nudi, e dal loro risveglio motorio e sensoriale, parte il faticoso cammino di vendetta, conoscenza e riscatto della Sposa in Kill Bill.
Lo sguardo che non solo scopre ma ritorna anche dove è già stato è uno sguardo che contempla e si prende tutto il tempo necessario per fare qualcosa di gloriosamente inutile: non vuole ottenere un qualche profitto, ma stare, sentire ed entrare in intima relazione. Soprattutto con i misteri inconoscibili fuori e dentro di noi.
È sintesi del guardare e del vedere.
Allora lo sguardo non consuma più un oggetto in modo rapinoso, ma assapora il libero fluire di un altro soggetto.
Diventa dimensione comunitaria e dialogica di interdipendenza, deputa il cuore (che è corpo e non-corpo) quale centro della conoscenza e dell’ispirazione.
Una conoscenza che è anche gioco e leggerezza.
Il vero feticcio in Kill Bill, dopo tanti altri (ad esempio l’indice di Beatrix sul campanello, la mano di Bill sulla katana, l’occhio azzurro superstite dell’infida Elle che Beatrix cava con una mossa di kung-fu e poi schiaccia tra le dita del suo piede, le sue mani che si esercitano fino allo sfinimento per trapassare il legno e che riusciranno a sfondare quello della bara in cui è stata sepolta viva), è proprio il cuore.
Quel cuore che Beatrix farà esplodere nel petto di Bill, nel loro ironico e poetico confronto finale. Userà la tecnica dei cinque colpi delle dita che Pai Mei - maestro di entrambi - ha infine trasmesso solo a lei.
Ma perché avvenga l’esplosione, deve essere Bill a fare cinque passi.
E li farà, consapevolmente, dopo aver contemplato la donna che ha amato e odiato, averla finalmente vista ed aver consentito ad entrambi di vedersi:
⁃ Come ti sembro?
⁃ Sei pronto.
La contemplazione fa risorgere il potere del nostro sguardo.
Martina Romano
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